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13 aprile 2011

Se c'è il servizio, il cittadino paga. Altrimenti "NISBA".

Il depuratore non c’è? Fuorilegge la “cresta” dei Comuni sull’acqua.

La Cassazione condanna Milano: la tariffa solo se viene fornito un servizio

Mica vero il detto levantino «prima pagare, poi vedere cammello». Almeno non per la Corte di Cassazione,
che ha dato torto al Comune di Milano che per anni ha imposto ai suoi cittadini e alle imprese sul suo territorio, di pagare un canone aggiuntivo alla tassa sul-l’acqua per depuratori che esistevano solo sulla carta. Secondo la decisione della Suprema Corte che ha messo fine a una questione annosa «a fronte del pagamento della tariffa, l’utente deve ricevere un complesso di prestazioni consistenti, sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione». Tradotto in modo assai poco giuridico: niente cammello, allora niente balzello. Il ricorso era stato presentato dalla Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori, che indispettita dal pagamento di una tariffa annua di cinquecentomila euro per depuratori che a Milano non esistevano e nemmeno si sapeva quando sarebbero stati costruiti, ha intrapreso una battaglia legale andata avanti anni con alterni giudizi. Una prima sentenza del Tribunale di Milano del 2004 aveva dato ragione a Palazzo Marino. Quattro anni dopo la Corte d’Appello aveva dato ugualmente ragione al Comune. Sempre nel 2008 la Corte Costituzionale a cui si era appellata la Fondazione Istituto dei Tumori aveva però ribaltato ogni giudizio, sostenendo che non può essere richiesta una tariffa per un servizio non elargito. Oggi arriva la sentenza definitiva della Cassazione, che boccia la tesi sempre sostenuta da Palazzo Marino, secondo cui il balzello sarebbe comunque servito a «finanziare il piano di ambito per la realizzazione dei depuratori». Come dire che si trattava di un pagamento anticipato di un servizio che sarebbe stato prima o poi fornito. La sentenza della Cassazione ora rischia di provocare una cascata di ricorsi non solo in città. Paolo Martinello, presidente di Altroconsumo, ne è convinto: «Il problema non riguarda solo Milano. La protesta contro la tassa sui depuratori inesistenti investe tutta Italia. Prevedo battaglie giudiziarie per ottenere il rimborso degli ultimi dieci anni, che non possono essere considerati prescritti». Il problema dei rimborsi riguarda solo in parte Milano. La Cassazione ha stabilito il risarcimento alla Fondazione Irccs solo per l’anno 2000. Milano si è infatti dotata di un primo depuratore idrico dal 2003, quindi da quella data è assolutamente in regola. Ma se Milano è nella norma così non si può dire di centinaia di altri Comuni. La legge italiana che obbliga le amministrazioni locali a dotarsi di depuratori è del 1976. Milano si dota di un depuratore solo nel 2003, ultima metropoli europea insieme a Bruxelles. Altrove in Italia, è il disastro di sempre. A Vedano Olona in provincia di Varese c’è un comitato che ha messo on line la domanda per ottenere i rimborsi. A Comacchio nel Polesine ferrarese l’ultima manifestazione contro la tassa per il depuratore che non c’è, l’hanno fatta davanti alla Regione il 16 marzo scorso. Il 60% degli utenti palermitani fino a un paio di anni fa pagavano il balzello, senza essere allacciati al depuratore e adesso potrebbero presentare ricorso. Nel 2009 l’Acea di Roma ha cancellato la voce depurazione dalle tasse comunali, cercando di prevenire le richieste di rimborso che stanno arrivando a pioggia. (Fabio Poletti –La Stampa)

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