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17 giugno 2011

Quell’insulto di Brunetta il ministro dei peggiori

Il figlio disse al padre: Papà ti vegogni del tuo lavoro? - Il papà rispose: Mica faccio il Ministro!!
L’hanno visto milioni di italiani quel video oltraggioso e violento, con quelle immagini di paura e di arroganza davvero preoccupanti che tutti dovrebbero guardare perché illustrano bene la triste fine dell’epoca berlusconiana. Fotografano un declino scomposto che, in grande sincerità, ci sorprende e ci inquieta.
Il protagonista è il ministro Brunetta, ma sbaglierebbero i lettori e i videospettatori a pensare, d’istinto, che si tratta del solito Brunetta che ne ha fatta un’altra delle sue, sbaglierebbero i feticisti e i collezionisti del Brunetta furioso ad aggiungere questa stizzosa fuga da sconfitto agli sfoghi baldanzosi del vincente. Il Brunetta che infatti conoscevamo, e che pure non ci piaceva, non avrebbe mai girato le spalle e maltrattato una signora prima ancora di sentirla parlare, solo perché intuiva che sarebbe stata critica nei suoi confronti. Brunetta, che pure l’aveva invitata a raggiungerlo sul palco e a porgli la domanda, le ha dato solo il tempo di dire «sono una precaria». E di nuovo bisogna evitare di pensare, per pigrizia mentale, al toro che vede il drappo rosso. Perché il toro-Brunetta, che mai avremmo immaginato di poter rimpiangere, avrebbe caricato il rosso del precariato con le corna appuntite della sua ideologia. Invece l’abbiamo visto in fuga dinanzi al più innocuo dei toreri intellettuali, abbiamo visto un uomo che si sente insolentito dalla realtà, un ministro che maltratta una donna muta e pacifica, come se i precari non fossero quattro milioni di persone di cui deve governare e risarcire il malessere, ma quattro milioni di fastidi a cui dare le spalle. E non ce l’aspettavamo neppure noi perché, nonostante le critiche, gli concedevamo una speciale spavalderia di selvaggio provocatore cultura-le e politico, con una voglia matta di stanare gli avversari e di inchiodarli alla forza delle sue ossessioni. Perciò ci pare che questo Brunetta che scappa da un mite dibattito politico e alla fine affida gli interlocutori alla fisicità della sua scorta offende innanzitutto quel Brunetta spericolato e temerario che certo non ci divertiva ma che in fondo in fondo era ancora un ariostesco "cavalier villano". Con il control-lo assoluto della sala, nell’atmosfera rilassata del convegno sull’Innovazione che egli stesso aveva appena concluso, e dinanzi all’evidente disagio di una donna emozionata, il Brunetta d’antan si sarebbe infatti scatenato nella polemica e magari avrebbe pure arricchito la produzione del-le sue strampalate teorie sui fannulloni, sulla «rivoluzione culturale» - così la chiamava - nella pubblica amministrazione, sui precari come «retorica», sul loro «ostinato rifiuto di andare al mercato a raccogliere le mele»… E invece il vecchio Brunetta esce definitivamente degradato da questo nuovo Brunetta che prima se le dà a gambe per non sentire la domanda, probabilmente di biasimo, della "precaria", e alla fine con-segna il timone alle guardie del corpo stimolando con un insulto gratuito e non argomentato - «siete la peggiore Italia» - la rissa fisica. Brunetta sapeva bene che l’offesa ingiustificata avrebbe irritato quei quattro precari che avevano accompagnato la loro collega ed amica. Estremista intelligente, sapeva pure che mettendo in moto le guardie del corpo sarebbe finita ad abuso, a qualche grido - «buffone» - ma soprattutto alle manate e agli spintoni, all’assedio dell’auto. E difatti così è stato. Ed è qui la novità, il punto di non ritorno di un magistero politico che era nato all’insegna del-la ribalderia culturale e della boria da eversore e sta invece finendo nella protervia e nel panico dello sconfitto, nella collera dell’impotente. Per questo il video entra nei documenti di fine d’epoca. Non ci sono infatti solo la mitezza di una donna, l’insulto arbitrario e il viso inspiegabilmente congestionato di Brunetta. Il peggio è quel fuggire e quell’affidare se stesso e i propri avversari alla "saggezza" dei gorilla. Quando in Italia un regime sta per finire c’è come un lampo di presagio nelle fughe più o meno consapevoli come questa di Brunetta, e si sente il rantolo negli oltraggi immotivati e nella trasformazione in ghigno del piglio da guascone dei potenti perché, come scrisse Mala-parte a Farinacci, «tu, come animale politico, sembri nato dall’innesto di un lupo con una pecora, ma non si capisce bene se da quell’innesto è nato un lupo vigliacco o una pecora feroce» . Certo è difficile non ricordare la reazione dell’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio quando, avvicinato dall’inviato di Striscia la notizia, disse agli uomini della sua scorta: «Dategli un po’ di botte». Così reagiscono non i caduti, che hanno sempre una loro dignità, ma gli impuniti che annusano il cambio di stagione, sentono di dover precipitare, percepiscono il fallimento, sanno che «la fine è nota». Tanto più che i precari non sono Valerio Staffelli e non sono il Gabibbo, non sono sospetti stalker ma sono citta-dini italiani da 250 euro al mese ai quali dobbiamo tutti delle spiegazioni e dinanzi ai quali un ministro dovrebbe comunque e sempre.

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